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GENTILI PAOLO - Nipote di fra Mario Gentili


Di zio mi vengono in mente tanti aspetti legati al suo modo di porsi con le persone e tanti piccoli episodi, molti di questi ricalcano quanto di lui tutti possono dire: le barzellette, le battute sempre pronte, la passione per l’arte, la conoscenza di Roma, ecc.
Fra tutte queste cose, vorrei sottolineare due aspetti e raccontare un episodio che mi coinvolge.

Il sorriso accogliente
Una cosa che a me ha sempre colpito molto - come forse a tutti quelli che l’hanno conosciuto - è il suo particolarissimo modo di porsi tra le persone: sempre sorridente e accogliente, come se la persona che gli era di fronte fosse per lui realmente importante, da doverle dedicare tutta l’attenzione possibile.  
Questo è senz’altro noto a tutti, ma vorrei aggiungere questo particolare. Mia sorella Daniela  aveva un modo analogo di porsi nei confronti degli altri e quando è morta (cinque anni fa per un tumore), sia nell’omelia, sia il vescovo in un incontro di giovani al palazzetto dello sport, sia negli articoli usciti nei giornali locali è stata ricordata in particolare per questa sua caratteristica: “il suo sorriso: semplice, bello, buono, accogliente per tutti”.
Io credo che in qualche modo Daniela sia stata “contagiata” da zio; a me è sempre sembrato che tra tutti i parenti lei avesse una predilezione per zio fra Mario. Ricordo un lunedì di Pasqua (mi pare che fosse già ammalata) che venne appositamente a Tolentino per andare al cimitero sulla tomba dello zio, in auto da Imola, per rientrare subito dopo, senza fare altre tappe. Lei non faceva mai viaggi di questo genere, l’unico altro che io ricordo è stato andare Bose, a visitare la comunità di Enzo Bianchi. Credo quindi che nella sua vita (e probabilmente anche nella sua malattia vissuta così serenamente), si sia fortemente ispirata a zio o abbia avuto da lui uno “sostegno” dal cielo.

L’umiltà
Fino all’età di 13 anni io ho frequentato la parrocchia di Croce Coperta di Imola: quando zio fra Mario veniva a trovarci, quasi sempre mi chiedeva (o a volte ero io a proporglielo) di andare a salutare il parroco, don Guido. Quando lo vedeva, lo salutava sempre con molta riverenza, quasi inginocchiandosi. In seguito ha continuato a chiedermi sue notizie e a mandargli i suoi saluti fino all’ultima volta che è venuto a trovarci.
Nel periodo successivo (14-25 anni), ho frequentato il convento dei Cappuccini di Imola, e anche in questo caso ha avuto piacere di conoscere i frati e ha continuato anche in seguito a mandare i suoi saluti tramite me. Ovviamente non è mancata la sua barzelletta sui cappuccini: una signora entra in un bar e vede un frate cappuccino al bancone e allora, guardandolo ordina al barista “un cappuccino!”; il frate si volta, la squadra ben bene e si rivolge al barista: “e per me uno Strega!”

Un’estate in basilica
Nel 1974 – all’età di 13 anni – avevo combinato qualche guaio in più del solito: avevo rubato qualche soldo in casa, raccontavo qualche bugia di troppo (una grossa smascherata poi da mia madre), frequentavo una compagnia un po’ “ai limiti”. Mia madre era preoccupata e le venne in mente di chiedere a zio fra Mario se mi poteva ospitare per 15-20 giorni presso di lui, per vedere se cambiavo strada.
Lo zio fu ben contento di accogliermi (immagino dopo aver chiesto al priore) ed io fui altrettanto felice di questa opportunità, perché fin da piccolo mi sono sempre trovato benissimo con zio fra Mario e sono sempre stato molto attratto dalla basilica di san Nicola (forse per via delle appassionate descrizioni dello zio).
Arrivai quindi a Tolentino attorno al 12-15 luglio, ma… tornai a casa solamente il 12 o il 13 settembre (per motivi di lavoro mio padre non poté fermarsi il 14 settembre, al perdono di San Nicola), ma se era per me sarei rimasto ancora!
Ricordo tuttora con grande piacere i due mesi passati in convento con zio. I primi giorni stavo molto tempo con lui e quindi lo seguivo all’arrivo dei turisti nell’accoglienza e nella guida al santuario. Dopo qualche tempo, soprattutto se arrivavano più gruppi o se aveva qualche altra incombenza, lo affiancavo o lo sostituivo nel ruolo di “Cicerone” e a pensarci oggi devo dire che mi aveva dato davvero tanta fiducia, perché avevo comunque 13 anni!

Di questo periodo ricordo il suo modo sempre dolce, delicato, sorridente e accogliente nei miei confronti: non ricordo mai un suo richiamo, ma sempre indicazioni che lasciavano a me la scelta (“se vuoi…”). Sapendo che a me piaceva pescare, mi disse che nella zona c’era un lago e se volevo mi avrebbe accompagnato in bicicletta: evidentemente mi trovò anche la canna perché ricordo che alcuni pomeriggi andai a pescare. E le altre volte mi lasciò andare da solo, dopo essersi accertato che avevo imparato bene la strada. Un giorno mi portò in una zona del convento, una grande sala con libri, tavoli (forse una biblioteca di studio dei seminaristi che in quel periodo non erano presenti) e mi disse che se volevo fare un po’ di “confusione” con le due chitarre elettriche che erano lì, non c’era problema, perché non disturbavo nessuno, in quanto eravamo lontano dalla parte abitata. La sera mi “introdusse” nel tavolo da gioco con gli altri frati e così imparai lo scopone scientifico, che non conoscevo; quasi tutte le sere le passavo giocando a carte. Qualche volta mi portava al bar di fronte per offrirmi un gelato. Mi disse anche che a Tolentino c’era il museo dell’umorismo: lui non c’era mai stato ma pensava che forse mi sarebbe potuto piacere.
Queste e altre erano le sue piccole attenzioni per fare in modo che non mi annoiassi e che mi trovassi bene. E io mi sono davvero trovato bene, tanto che ho quadruplicato il tempo  di permanenza!
Dopo circa 3 settimane che ero lì, zio mi si avvicinò e mi disse pressappoco queste parole: “Anche lenzuoli più bianchi, stando all’aria un po’ si impolverano e si sporcano, così anche le anime più candide ogni tanto hanno bisogno di “rinfrescarsi” con il sacramento della confessione. Se vuoi confessarti, puoi andare a San Catervo, così ti senti più libero”. E così feci, per due volte.

I due mesi trascorsi a Tolentino con zio credo che abbiano segnato profondamente la mia vita, non solo per il bel ricordo che ancora oggi vive dentro me, ma perché al ritorno ho “cambiato strada”: credo di essere maturato, ho cambiato atteggiamento in famiglia, ho lasciato le compagnie che davano preoccupazione ai miei genitori, nel giro di poco tempo mi sono inserito in un gruppo di giovani che si trovava nel convento dei cappuccini, cercando di dare un senso cristiano alla mia vita. Non so se il merito sia stato di zio, dei frati che mi hanno accolto o dell’aria che si respira in convento, ma certamente mia madre ha sempre ringraziato tanto zio per questo cambiamento che ha riscontrato in me.

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